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Capo dei Navajos e agente indiano della loro riserva, Tex ha settant'anni e non va in pensione. La ragione è persino ovvia; non può. La storia dell'umanità si sviluppa attraverso conflitti di classe, fra la parte "alta" e quella "bassa" della società. Non una partita di calcio fra squadre opposte che, allo scadere del primo tempo, si scambiano di campo, ma una vicenda i cui conflitti hanno sempre avuto una morfologia verticale, quella tra dominanti e dominati. In questo contesto conflittuale, Tex Willer è stato pensato, disegnato, scritto e raccontato quale figura con una chiara posizione, tutta orientata verso i più deboli, dei quali raccoglie le istanze. Pur mettendo la legalità davanti a tutto, in sua assenza egli sostiene il ricorso all'astuzia, al conflitto e alla forza. La legge stessa è dimostrazione di una forza di cui lo Stato detiene il monopolio. La colt, il winchester e la guerriglia sono la risposta all'assenza dello Stato, alla corruzione e all'incapacità dei suoi funzionari. Chi nelle aule s'interroga sull'esistenza della guerra giusta può trovare in questi pensieri la traccia per una risposta, perché lottare dalla parte dei deboli, giusto lo è sempre.